Le 32 protagoniste – Puntata no.17 – La Serbia

La Squadra – Орлови (Le aquile)

La Serbia ritorna al Mondiale dopo aver saltato l’edizione brasiliana del 2014.
Un cammino piuttosto agevole all’interno del girone D di qualificazione, chiuso al primo posto con 21 punti e una sola sconfitta nei 10 match disputati.
Rispetto al passato la squadra serba ha mostrato più sicurezza, soprattutto contro le squadre più deboli del raggruppamento: in altre occasioni proprio contro avversari più abbordabili i serbi avevano mostrato i loro limiti, perdendo di fatto opportunità di qualificazione ad Europei e Mondiali.

Squadra storicamente talentuosa, non a caso gli slavi sono considerati i brasiliani d’Europa, la Serbia allenata dall’ex nazionale Mladen Krstajic (subentrato a Muslin) si presenta ai nastri di partenza circondata da grande curiosità.
Muslin, l’ex tecnico, silurato a qualificazione raggiunta, per via di un eccessivo difensivismo e per alcune scelte che hanno fatto storcere il naso a dirigenti, addetti ai lavori e tifosi ha pagato la mancata convocazione di diversi giovani tra i quali, il laziale Sergej Milinkovic-Savic, mai preso davvero in considerazione.

La federazione serba ha dato le chiavi in mano a Krstajic, prima ad interim, poi ne ha confermato la posizione fino al termine del mondiale.
Ex difensore centrale, Schalke04 e Werder Brema tra le altre, è anche il presidente del Radnick Bijeljina, società di Premier League in Bosnia Herzegovina, dal 2015.
Rispetto al suo predecessore ha idee diverse, soprattutto sulla questione nazionalismo, e ha fermamente escluso di volere fare differenze per questioni di razza, religione o provenienza geografica con il proprio club.

Cosa attenderci dalla Serbia? Considerando i chiari di luna di una selezione assolutamente imprevedibile, potremo rifugiarci nel più classico “tutto e il contrario di tutto”.
Il movimento giovanile ha sfornato talenti in grado di vincere i Mondiali U20 del 2015 e alcuni di quei giocatori fanno parte della nazionale maggiore.
La Serbia, all’epoca Yugoslavia, trionfò anche nel 1987: era la nazionale di Prosinecki, Boban, Suker, Mijatovic e Jarni che ai Mondiali di Italia90 incantò il mondo.
La distrusse una guerra cieca, violenta e fratricida.

I protagonisti

Milinkovic-Savic

Su tutti lui, Sergej Milinkovic-Savic. Mister 120 milioni, per Lotito, centrocampista o meglio, tuttocampista di qualità e quantità, lotta e governo.
Sergej è in stato di grazia, è giovane e ha voglia di dimostrare le sue capacità: quale vetrina migliore di un Mondiale?
Fisico eccezionale, dotato di grande tiro, destro e sinistro, Milinkovic sa fare tutto e bene.
Su di lui le attenzioni di mezza Europa: Real, Juve, Manchester United. Lotito gongola e l’asta sarà ristrettissima ai pochi club in grado di investire cifre così importanti.

Altri volti conosciuti alle nostre latitudini sono il terzino sinistro Kolarov (un passato alla Lazio, un presente alla Roma), il difensore Milenkovic e il 10 del Toro, Adem Ljajic.
Tra i 23 che compongono la rosa serba, il mix ben organizzato di giovani e calciatori esperti deve fare a meno degli infortunati Nastasic e delle scelte tecniche di Gacinovic e Maksimovic, penalizzato dalla pessima annata tra Napoli e Mosca sponda Spartak.
Altro escluso eccellente, Dusan Basta, altro calciatore conosciuto per il suo presente italiano.

Davanti al portiere Stojkovic, pallone d’oro serbo, ecco la difesa a 4 con Ivanovic (nonché capitano) insieme a Tosic o il giovane Milenkovic; a sinistra Kolarov e a destra Rukavina.
A centrocampo ecco quel Nemanja Matic, oggetto del desiderio di qualche club italiano, insieme a Milivojevic: davanti i trequartisti Ljajic, Milinkovic e Tadic, a supporto dell’unica punta Mitrovic.

I record della Serbia (clicca per vedere l’infografica)


Testa a testa – Il Gruppo E

La Serbia è ragionevolmente in lizza per qualificarsi alla seconda fase del Mondiale.
Sulla carta la squadra di Krstajic sembra un gradino sopra ai centroamericani del Costa Rica e alla Svizzera dell’allenatore bosniaco Petkovic, mentre il Brasile appare nettamente favorito per la prima piazza del gruppo E.
Importante per la Serbia sarà partire con il piede giusto contro il Costarica, senza sottovalutare la fama di ammazza-grandi che hanno i costaricensi nella .
Un precedente ai Mondiali con la Svizzera (3-0, nel 1950), ben quattro con i brasiliani.
Affascinante la sfida con il Brasile con gli slavi che più di una volta sono stati accostati per talento, estro e fantasia, ai pentacampioni sudamericani.
Proprio l’ultima nazionale jugoslava venne battezzata il Brasile d’Europa: una quantità enorme di talento e (finalmente) di organizzazione tattica. Il canto del cigno di una sintesi politico-sociale senza eguali che si frantumò a Italia90 per morire definitivamente ad un passo dagli Europei del 1992.

Serbia v Costa Rica
nessun precedente

Serbia v Svizzera
1 match nella fase finale della Coppa del Mondo

Jugoslavia-Svizzera 3-0, Brasile 1950
Bilancio totale: 13 matches
Serbia 6 vittorie
Pareggi 5
Svizzera 2 vittorie

Serbia v Brasile
19 incontri di cui 4 nella fase finale della Coppa del Mondo
Jugoslavia-Brasile 2-1, Uruguay 1930
Brasile-Jugoslavia 2-0, Brasile 1950
Brasile-Jugoslavia 1-1, Svizzera 1954
Brasile-Jugoslavia 0-0, Germania 1974
Bilancio totale: 19 matches (includono Jugoslavia, Serbia e Serbia&Montenegro)
Serbia 2 vittorie
Pareggi 7
Brasile 10 vittorie


Storie – Il numero 10

Dragan Stojkovic
Dragan Stojkovic

Se dovessi fare una classifica dei calciatori che più ho amato, Dragan Stojkovic sarebbe sicuramente nella top ten e forse, anche su uno dei gradini più alti del podio.
Dragan Stojkovic era un fuoriclasse: geniale, talentuoso, assistman delizioso e stoccatore di prim’ordine, un numero dieci, in un’epoca in cui i numeri dietro le spalle avevano una loro valenza.
Aveva un difetto, anzi due. Il primo è che aveva ginocchia di cristallo. Il secondo? Era un genio. 

Stojkovic cresce nel Radnicki Nis, squadra della sua città natale, poi nel 1986 si trasferisce alla Stella Rossa Belgrado. Con la gloriosa maglia biancorossa, Dragan totalizza 120 presenze e 54 reti e conquista titoli a ripetizione: vince due campionati di Jugoslavia, una coppa nazionale, è eletto calciatore dell’anno in Jugoslavia e MVP della massima divisione.

Quel giorno al Bentegodi

Una delle migliori prestazioni a cui mi sia dato mai di assistere. Un ballerino che nel caldo afoso di un pomeriggio veronese, si erge protagonista, sale in cattedra, dispensa calcio, gioca, scherza e accarezza il pallone, assiste i suoi compagni e risolve una partita con due goal, uno più bello dell’altro.

Il match con la Spagna è la partita con la P maiuscola di Dragan Stojkovic. Un concentrato di qualità e concretezza da vedere e rivedere.
La Jugoslavia era una gran bella squadra con Stojkovic, Prosinecki, Savicevic, Susic a centrocampo, Zlatko Vujovic e Pancev di punta, in porta Ivkovic, il portiere capace di parare a Maradona ben due rigori in due partite distinte.

Il mondiale del 1990 non iniziò granché bene per i colori slavi. Il match inaugurale contro la Germania (che si laureerà campione al termine della manifestazione) finisce con un rovescio piuttosto ampio, un 4-1 che non ammette repliche.
La Jugo però non si perde d’animo e, battendo Emirati e Colombia, approda agli ottavi di finale.
Ed è proprio contro la Spagna, negli ottavi, che Stojkovic trascina i suoi.

Abbiamo già detto della prestazione maiuscola, abbiamo detto anche dei due goal che restano nella memoria per l’alto tasso di talento che trasudano entrambi.
Il primo goal nasce da una azione che parte dal portiere Ivkovic che rimette in gioco dal fondo e serve Jarni che di sinistro lancia in profondità a cercare Zlatko Vujovic.

Vujovic batte il suo marcatore diretto e si lancia verso l’area spagnola.
L’azione è insistita, il numero 11 jugoslavo prova un dribbling, viene tamponato da un difensore spagnolo, si gira su se stesso e crossa.
La palla finisce sulla testa di Srecko Katanec che la “spizza” sul secondo palo.
Stojkovic è lì, appostato, potrebbe tirare al volo (e probabilmente segnerebbe), ma preferisce stoppare il pallone, anzi, preferisce addomesticarlo con il destro e sempre con il destro, con precisione chirurgica, batte Zubizzarreta e il tentativo disperato di un difensore spagnolo.
Stojkovic esulta e corre ad abbracciare il ct, Ivica Osim.

La partita va ai supplementari. Fa sempre più caldo.
C’è una punizione dal limite dell’area. Sono più o meno venti metri o giù di lì. La barriera è folta, Zubizzarreta probabilmente ha il sole negli occhi, c’è un attimo in cui perde di vista il tiratore.
La parabola è meravigliosa, forse Zubi parte con un attimo di ritardo, ma ragazzi, quel pallone sembra telecomandato e finisce nel sacco.
La Jugoslavia si qualifica per i quarti dove affronterà l’Argentina di Maradona.
Finirà male, ai rigori, con errore di Stojkovic, il primo ad andare sul dischetto, tra gli altri.
Quella sarà l’ultima partita in una competizione internazionale per la Jugoslavia.

Vivere o morire a Bari

Il mondiale italiano certifica il pedigree di Stojkovic che cambia casacca e si trasferisce all’OM alle dipendenze del magnate francese Bernard Tapie.
C’è l’Adidas, ci sono i soldi, ci sono fior di campioni e il Marsiglia arriva in finale di Coppa dei Campioni. Stojkovic parte dalla panchina e per uno strano scherzo del destino, si ritrova a giocare contro il suo passato, contro la Stella Rossa che lo ha fatto diventare il campione che è.

La partita è brutta. Le due squadre non vogliono rischiare nulla, sapendo entrambe che l’occasione difficilmente si ripresenterà, nessuna delle due prende l’iniziativa.
L’epilogo, scontato, sono i calci di rigore.
E ai rigori Stojkovic pronuncia il suo “No mas“, rifiutandosi di battere la massima punizione.
La storia è piena di giocatori che si rifiutarono di calciare un tiro dal dischetto in circostanze particolari: Baggio contro la “sua” Fiorentina e Falcao nella finale di Roma tra Roma e Liverpool, sono gli esempi più conosciuti alle nostre latitudini.
Proprio quella sera a Bari, il gran rifiuto arrivò da Piksi Stojkovic.

“Se da jugoslavo lo sbaglio, i marsigliesi mi uccidono in campo. E se segno, non potrò più ritornare al mio Paese“.
Dragan Stojkovic

E’ l’inizio della fine. Il ginocchio scricchiola, arriva il trasferimento all’Hellas Verona. Una stagione disgraziata, condita da alcuni errori dal dischetto e infortuni a ripetizione. Il ritorno al Marsiglia è il canto del cigno prima del trasferimento in Giappone dove incanta come giocatore e poi come allenatore.

Il rimpianto di un campione che ha pagato alla sorte un prezzo troppo alto sia nella sua carriera nei club che in nazionale dove, francamente, avrebbe potuto raccogliere molto di più.

I convocati della Serbia a Russia2018

Portieri: Vladimir Stojkovic (Partizan Belgrado), Predrag Rajkovic (Maccabi Tel Aviv), Marko Dmitrovic (Eibar).

Difensori: Aleksandar Kolarov (AS Roma), Branislav Ivanovic (Zenit S.Pietroburgo), Dusko Tosic (Guangzhou R&F), Antonio Rukavina (Villarreal), Milos Veljkovic (Werder Brema), Milan Rodic (Stella Rossa Belgrado), Uros Spajic (Krasnodar), Nikola Milenkovic (Fiorentina).

Centrocampisti: Nemanja Matic (Manchester United), Luka Milivojevic (Crystal Palace), Sergej Milinkovic-Savic (Lazio), Marko Grujic (Liverpool), Adem Ljajic (Torino), Dusan Tadic (Southampton), Filip Kostic (Amburgo), Andrija Zivkovic (Benfica), Nemanja Radonjic (Stella Rossa Belgrado).

Attaccanti: Aleksandar Mitrovic (Newcastle United), Aleksandar Prijovic (PAOK Salonicco), Luka Jovic (Benfica).

 

Pubblicato da Danilo Baccarani

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e l'impermeabile di Bogart, ché non si sa mai.

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