Quel che resta del derby – Novanta minuti di non Toro

Due settimane fa, ospite del prepartita di Toro-Udinese su Torino Channel, sollecitato sul tema derby, dissi: “Mi piacerebbe se tutti insieme (squadra, mister e ambiente) preparassimo questo match come una partita normale.”
Conscio del fatto che il derby non è una partita normale che non è una partita come le altre e che per i tifosi granata assume un significato particolare, che può valere una stagione non tanto per i tre punti ma per la spinta che può dare, posso affermare con una certa tranquillità che il Toro soffre di “Sindrome da derby.”

Come ci arriva il tifoso, come arriva il Toro, come ci arrivano loro

Il tifoso granata sa di cosa parliamo quando si parla di “settimana che precede il derby”.
Un mix di sensazioni, mal di pancia, stomaco, interiora, roba che ti prende le budella e te le intreccia; roba da matti, se ci pensiamo.
Una commistione di suggestioni, immagini, ricordi (anche belli, perché ce ne sono stati) che ti scorrono davanti in ogni momento di quei giorni che precedono il derby.
In una parola, l’approccio.
Il Toro ci è arrivato nella migliore delle condizioni, a ranghi praticamente completi, forte della striscia positiva, conscio dei propri mezzi e spettatore interessato della Champions che vedeva protagonista la squadra di Allegri nell’insidiosa sfida con il Tottenham.
Inevitabilmente, tra defezioni e stanchezza, i bianconeri si presentavano al più classico degli appuntamenti, in una versione riveduta e corretta.
Non parlo di riserve o di seconde linee: se pensiamo che Bernardeschi o Douglas Costa siano riserve, allora chiudiamo il discorso.
Squadre come la Juve, non hanno riserve, possono avere cali di concentrazione o di flessione fisica dovute ai troppi impegni ed è lì che gli avversari devono colpire.
O almeno, dovrebbero provare.
Il Toro, da parecchi anni, non è in grado di farlo.
Chi scrive ha assistito a scontri altrettanto impari (o anche più impari di questi) e la netta superiorità tecnica direi che è una costante della sfida, sempre a favore dei bianconeri, salvo qualche periodo storico particolare: raramente il Toro ha avuto una rosa qualitativamente più forte e quando ha avuto la meglio ha dovuto sempre sfoderare armi alternative per portare a casa la vittoria.
La sensazione è che, il Toro, questa partita inizi a perderla dal fischio finale della partita precedente.
Eppure psicologicamente il derby non ha bisogno di essere preparato: si gioca contro i più forti, non si può sbagliare niente, non servono motivazioni particolari. Davvero mi volete dire che un calciatore di qualsivoglia squadra deve cercare stimoli ulteriori per disputare una partita così?
Un calciatore che non ne comprenda l’importanza, non può giocare a questi livelli.
Difficoltà, voglia di superare i più forti, competizione, voglia di mettersi in mostra, penso siano motivazioni più che sufficienti per spingerti ad andare oltre i tuoi limiti.
Si badi, non parlo di attaccamento alla maglia, tremendismo, amore per i colori. Salvo qualche raro caso, i calciatori di oggi non sono come quelli di un tempo.

La partita

La Juve non ha fatto una gran partita, si è limitata al minimo sindacale, ha pressato alto, spinto il giusto, forzato poco e niente: nessuno toglie meriti ai bianconeri, ma contro questo Toro è sembrato davvero tutto troppo facile.
Il Toro è stato imbarazzante per l’assoluta mancanza di idee, grinta, tenacia, voglia di rivalsa e ha fallito la prova su tutta la linea.
Mazzarri ha scelto un modulo più accorto rispetto alle uscite precedenti con un Ansaldi in più e un Niang in meno.
Se la scelta poteva sembrare oculata ed equilibrata, il discorso ha retto fino al gol di Alex Sandro che ha cambiato i connotati del match e messo spalle al muro il Toro, a quel punto costretto a rimontare e a fare la partita.

Se vogliamo fare psicologia da quattro soldi, il cambio da 4-3-3 a 4-5-1 deve aver instillato più di un dubbio nella testa dei giocatori, perché implicitamente, ai giocatori è stato detto: “Prima non le prendiamo. Poi vediamo quel che succede.”
E qui mi permetto di muovere una piccola critica al tecnico di San Vincenzo.
Siamo partiti discretamente (bene mi pare un po’ troppo) e sinceramente fino al gol, la partita oltre ad essere brutta non ci ha visto in sofferenza, però sono successe due cose che avrebbero dovuto far cambiare registro al corso della gara e alla squadra granata in primis: la prima è l’infortunio di Higuain, la seconda è il gol bianconero.
Sulla prima, fortuita e fortunosa (giocare senza avere l’incubo Higuain è un discreto vantaggio) avrei speculato di più. La Juve si ritrova con un cambio in meno dopo pochi minuti, perde un riferimento importante, gioca senza centravanti. Vero che l’assenza di Higuain può aver creato qualche scombussolamento (anche perché così, senza punti di riferimento, la Juve diventava imprevedibile e di difficile lettura) e pertanto avrei osato qualcosa in più sin da subito, se non operando un cambio (inserendo un uomo più offensivo), almeno cambiando atteggiamento, spostando in avanti il baricentro della squadra.
Il gol. Se penso che abbiamo giocato nello stesso modo, prima e dopo il gol, mi chiedo: “Ma davvero pensavamo che saremmo stati bravi a tal punto da non subire gol dalla corazzata bianconera?” Ok, ammesso che d’un tratto la squadra sia diventata più consapevole, allo stesso tempo avrei messo in chiaro che subire una rete, non è la fine del mondo e che il minimo che possa accadere è rimboccarsi le maniche e ripartire a testa bassa.
Non ripartire come se non fosse successo niente, perché, diamine, qualcosa era successo, eccome.

Non Toro, non derby

Ne è venuto fuori un non Toro, in un non derby.
E con questa Juve che, di spazi, non te ne regala manco per idea, tutto diventa più complicato.
Oramai è chiaro, quando Allegri ha qualche problema, quando la squadra deve raggiungere l’obiettivo prima segna e poi amministra.
Un modo gentile per definire il vecchio catenaccio & contropiede, o se volete la versione più modaiola e inflazionata “Ha parcheggiato il pullman della squadra dentro l’area di rigore”.
Ha giocato senza correre un rischio, non ha concesso opportunità al Toro, ha giocato così a Napoli (stesso risultato, stessa partita), viene da pensare che farà la stessa cosa a Londra in Champions.
Dopo il gol, Allegri ha chiaramente fatto capire ai suoi di serrare i ranghi, chiudere a chiave ogni spazio, disponendosi su due linee compatte e basse, difficilmente attaccabili.
E qui il Toro ha giocato male le sue carte. Impotente, Mazzarri ha provato a scombinare i piani ma più dell’imprevedibilità giocarono la lentezza e (permettetemi il neologismo) l’orizzontalità.
Mai uno spunto (forse qualche accelerazione di Niang, ma poca roba), giro palla lento e prevedibile, Ljajic seduto in panca, Iago emarginato in fascia (e costretto ad accentrarsi per stare più vicino a Belotti) e Belotti isolato a prendere manate in faccia da Chiellini e abbracci al limite del passionale da Rugani.
Tiri in porta degni di nota, direi zero e zero anche alla voce “forcing finale”.
Siamo usciti dallo stadio con un enorme punto interrogativo sulla testa e qualche dubbio sulle poche, pochissime consapevolezze di questa squadra.

Futuro?

Dopo questo ennesimo derby conservativo, il campionato ci riserva un turno alla portata, seppur in trasferta, contro il Verona.
All’andata iniziarono proprio dal match con l’Hellas, tutti i problemi del Toro di Mihajlovic. Una partita praticamente vinta (si era sul 2-0) terminata 2-2 con una incredibile serie di ingenuità e sfortune.
Le prime sei di Mazzarri e le prime sei di Mihajlovic hanno prodotto lo stesso numero di punti, 11 (3 vittorie – 2 pareggi – 1 sconfitta) e l’unica cosa che è cambiata nelle due gestioni è il numero dei gol subiti (Mazzarri 3, Mihajlovic 9).
Questa squadra è sicuramente più equilibrata, lo abbiamo sentito dire ad ogni latitudine, ma viene da chiedersi se il non rischiare mai nulla non possa diventare un limite. (certo è che soprattutto nel campionato italiano, chi subisce pochi gol, fa più strada).
Se a Mihajlovic veniva imputata una illogica follia tattica (al limite del suicidio, talvolta) a Mazzarri si chiede una lucida follia, consci che il toscano tra una passeggiata al lago e un giro sulle montagne russe sceglierebbe sicuramente la prima.
A noi tifosi importa più o meno dello spettacolo, intendo che a me piace vedere bel calcio ma non disdegno il gioco semplice fatto di cambi di campo, giro palla e contenimento difensivo (ndr con tutto il rispetto, roba che facevo in seconda categoria…non che non sia efficace, ma siamo all’ABC).

Non credo che con Mazzarri ci stropicceremo gli occhi per il bel gioco e difficilmente vedremo calcio iperoffensivo.
Il Mister è un pragmatico ed è sicuramente preparato tatticamente, ma credo che per raggiungere qualche obiettivo, il livello offensivo vada innalzato insieme alla percentuale di rischio, per vedere finalmente un Toro vero e non più la versione edulcorata di questo Torello sbiadito.

Il periodo di rodaggio sta finendo, Mazzarri ha insistito sui soliti noti, lasciando in panca alcuni protagonisti che potrebbero tornare utili alla causa.
Se di Ljajic abbiamo già parlato in precedenza (ndr, Gramellini ha cambiato idea dopo il derby…), bisogna recuperare in fretta Baselli (costretto a compiti da medianaccio interditore) e liberarlo nei pressi dell’area dove ha tempi di inserimento e tiro in porta.
Ansaldi potrebbe giocare terzino a sinistra al posto di Molinaro o a destra per Stakhanov De Silvestri nel caso Barreca torni ad essere abile e arruolato.
Forse, una maggior spinta sulle fasce gioverebbe anche al nostro Gallo che non vede un cross da tempo immemore.

La difesa centrale ha patito poco e niente anche nel derby, segno che N’Koulou e Burdisso hanno trovato la sintesi e che il centrocampo sta proteggendo a dovere il pacchetto arretrato.
Detto ciò, infortuni a parte, mi piacerebbe vedere all’opera Lyanco e/o Bonifazi.
Insomma, dare più profondità alla squadra, partendo dai cosiddetti rincalzi.
Si è rivisto Edera, imprescindibile Iago Falque, ancora isolato Belotti.
Se contro l’Udinese avevamo detto di aver ritrovato il Gallo in versione bomber, non possiamo fare a meno di notare che al centravanti vengono forniti pochissimi assist.
Il gol con l’Udinese è un gol che Belotti si è costruito da solo e la voce “occasioni per battere a rete” rasenta praticamente lo zero.
A questa squadra servono un po’ di fantasia e velocità (non solo di pensiero).

Chiosa
La parte meno tollerante di me si pone la seguente domanda: perché la Sampdoria e la Lazio questa partita l’hanno vinta? Perché il Genoa l’anno scorso ha vinto tre a uno contro i bianconeri?
Stiamo parlando di una squadra che perde poco e niente ma la domanda è lecita: è possibile vincere soltanto un derby negli ultimi 23 anni?
Ultima considerazione. Salvo qualche eccezione, sono contrario alle contestazioni alla squadra.
Però chiariamo una volta per tutte che tra fischiare e applaudire c’è una bella differenza.
Io domenica non ho applaudito (e non ho fischiato) perché questa versione di “Non Toro” mi ha lasciato indifferente (che forse è anche peggio).
Deluso e indifferente.
Si sa come sono le storie d’amore, quelle vere, quelle belle, quelle che non finiranno mai.
Litighi e fai pace in nome di un sentimento irrazionale che non tutti possono comprendere e accettare.
Però spiegatemi perché avete applaudito?
Io avrei applaudito un Toro gagliardo, magari sconfitto, ma vivo: domenica scorsa non ho visto niente di tutto ciò.
Voi sì?

Pubblicato da Danilo Baccarani

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e l'impermeabile di Bogart, ché non si sa mai.

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