La partita #62
Olanda v Argentina 2-4 d.c.r (0-0 al 120′)
Sarà ricordata come: La semifinale alla camomilla
La noia è una sorta di anelito verso un piacere ideale.
Immanuel Kant
A Kant nessuno aveva detto che il suo aforisma non era minimamente collegabile alla noia generata dalla visione di Olanda-Argentina, partita che non ha procurato alcun tipo di piacere e che nè i vinti nè tanto meno i vincitori (almeno l’Argentina di ieri sera) lo proveranno, dato che nella finale di domenica i tedeschi paiono essere favoriti per distacco.
Una partita a scacchi durata 120 minuti con i portieri totalmente inoperosi (salvo l’ordinaria amministrazione), la paura che attanaglia gambe e idee, i fuoriclasse imbrigliati da feroci marcature anni Ottanta (alla faccia del calcio totale e della zona).
Van Gaal e Sabella si sono annullati fin dagli spogliatoi. Entrambi hanno preferito chiudere gli spazi, non correre rischio alcuno e soprattutto si sono preoccupati più di distruggere che di creare.
Inevitabilmente la partita è stata lenta, noiosa a tratti irritante per quanto ci si poteva aspettare vista la qualità di molti dei protagonisti schierati in campo.
Abbiamo atteso invano un guizzo di Messi, una serpentina ubriacante di Robben, un tiro di Snejider, una zampata di Higuain…invano.
Abbiamo consumato, birre, amari, caramelle nella lunga processione che ha accompagnato le due squadre verso la soluzione più logica e più scontata che nulla contro nulla possa produrre: i rigori.
Van Gaal a differenza della lotteria contro la Costa Rica, non si è giocato la carta a sorpresa Krul, ma ha mandato per primo sul dischetto il meno dotato tecnicamente dei suoi (prima dell’uscita del picchiatore Martins Indi): Ron Vlaar. Risultato? Rigore inguardabile che Romero respingeva.
L’Olanda iniziava lentamente ad inabissarsi sotto il peso storico del suo record negativo ai calci di rigore, un peso psicologico che è costato negli anni parecchi titoli e tanta delusione.
Messi segnava da par suo per l’unico acuto di una partita incolore, Robben lo imitava, Garay segnava il più classico dei rigori da derubricare alla voce i rigori della paura (bordata forte e centrale) mentre Romero ipnotizzava Sneijder deviando a lato il tiro del numero dieci olandese.
Aguero e Kuyt segnavano e Maxi Rodriguez, nonostante la deviazione di Cillessen, chiudeva il conto mandando l’Argentina a giocare la quinta finale della sua storia, la terza contro la Germania.
Saldo in pari per quanto riguarda le finali: a Città del Messico, nel 1986 trionfò l’Albiceleste 3-2, a Roma quattro anni dopo, nel mondiale italiano, vinse la Germania per 1-0.
Ieri sera poca Olanda ma anche poca Argentina, il sentore è che per battere i tedeschi domenica sera, servirà ben altro e ben di più.
I protagonisti del match
In positivo: Romero e Mascherano per l’Argentina
In negativo: Van Persie e Sneijder per l’Olanda
La giocata del match
È destino che i portieri argentini ballino una sola estate. Caso vuole che quella estate coincida spesso con l’estate del Mondiale.
Pumpido, Goycoechea e ora Sergio Romero. Da carneadi a salvatori della patria in un battibaleno.
La scuola di arqueros argentini negli ultimi mondiali ha consegnato all’albiceleste portieri mediocri, incensati dalla critica e falliti miseramente alla prova del nove: Roa (1998), Cavallero (2002) e Abbondanzieri (2006) solo per citarne alcuni.
Da due mondiali a questa parte, la porta della nazionale sudamericana è difesa da un portiere non molto costante, giovane fenomeno che però, negli anni, ha mostrato qualche limite di troppo per un ruolo così delicato.
Ex Racing Club, Az Alkmaar, Sampdoria e Monaco (fallimentare il suo passaggio ai monegaschi), carattere assolutamente anarchico e grandi mezzi fisici, Romero ieri sera è diventato il salvatore della patria.
24 anni dopo un altro Sergio, Goycoechea, che ipnotizzò dal dischetto prima gli jugoslavi nei quarti poi i nostri azzurri in semifinale, Romero ha stoppato gli olandesi.
Sacrosanto assegnare alla parata sul rigore di Sneijder, la palma del gesto tecnico che sbilancia il match e lo indirizza verso la vittoria della nazionale argentina.
I rigori si sa, sono una lotteria, ma anche un sottile gioco psicologico tra tiratore e portiere.
Romero è sulla linea di porta, parla da solo, l’adrenalina è a mille, si carica.
Sneijder guarda la palla, solo un’occhiata fugace al portiere argentino di giallo vestito. Fischio dell’arbitro, rincorsa e tiro potente di destro, indirizzato alla destra di Romero che si distende e devia fuori dallo specchio della porta.
È la parata che manda gli argentini in finale e che rilancia El Chiquito (il ragazzino) Romero: non è mai troppo tardi per dimostrare il proprio valore o per ballare, come i suoi predecessori, una estate sola.
La statistica del match
7 tiri per l’Olanda, 8 per l’Argentina