Joe Hart – A Midsummer Night’s Dream

Are you sure
That we are awake? It seems to me
That yet we sleep, we dream.
(A Midsummer Night’s Dream)

Sei tu sicuro
che siamo svegli? —
Mi sembra
che ancora dormiamo, sogniamo.
(Sogno di una notte di mezza estate)

 

L’approdo a Torino (e al Toro) di Joe Hart è una storia che riconcilia con il calcio, un concatenarsi di eventi, di corrispondenze d’amorosi sensi, opportunità e possibilità, che restituiscono al più bel gioco del mondo, un alone di romanticismo oramai perso nelle pieghe del tempo.
Joe Hart al Toro è una storia anni Sessanta, un ritorno al passato, un tocco di magia, una pennellata d’artista, un afflato quasi lirico.
Hart al Toro è Charlize Theron che chiama l’idraulico sotto casa e gli dice: “Stasera io e te usciamo insieme.”
Hart al Toro è il mondo del sogno all’incontrario.
Hart al Toro è una bella storia.

Ho fatto un sogno
un sogno all’incontrario
ho fatto un sogno
un sogno poco serio
Ho sognato che tutto quello che andava male andava bene
e tutto quello che andava bene andava male…
andava quasi tutto bene!
P.Rossi

La storia è nota. Estate 2016, fine agosto, ultimi giorni di calciomercato.
Guardiola, allenatore del City, insediatosi da poco, decide di puntare su Bravo e Caballero e dà il benservito ad Hart, colonna dei Citizens. Il portiere titolare non accetta il declassamento e prende una decisione dolorosa: andare via dal City.

Guardiola abbozza una difesa asserendo che il biondo portiere inglese non sarebbe in grado di interpretare al meglio il ruolo che Guardiola vuole più coinvolto in fase di impostazione, soprattutto con i piedi.
Spunta un video in cui Guardiola e Hart discutono animatamente e il secondo abbandona l’allenamento del Manchester City.

La strada è segnata. Guardiola non crede in Hart, Hart vuole giocare, ama l’Italia (si è anche sposato a Firenze!), e accetta una sfida nuova, diversa, stimolante come la Serie A.

Hart arriva a Torino e via dell’Arcivescovado si blocca, la gente è impazzita. Il portierone inglese passa tra la folla, spaesato per il tanto affetto e quando si affaccia al balcone mostrando la maglia verde numero 21: si capisce che quello che sta per nascere è vero amore.
Era dagli anni di Luis Muller prima e Martin Vazquez poi che non si assisteva ad una accoglienza simile per un calciatore straniero acquistato dal Torino.
L’arrivo di Hart ha rivitalizzato una piazza che dopo anni di difficoltà ha iniziato a sognare nuovamente in grande.
Vuoi perché sembrava un affare impossibile, vuoi perché quella di Hart è una decisione controcorrente, proprio come la tifoseria granata, vuoi perché il calcio dimostra ancora una volta che i sogni, in questo caso quelli dei tifosi, si possono ancora realizzare ma soprattutto perché Hart, scegliendo il Toro, ha reso orgoglioso un intero popolo.

Ma perché Hart ha scelto il Torino?
Perché Hart è un uomo che ama le sfide.
E questa, a ventinove anni suonati, è la sua sfida più grande.
Rimettersi in gioco in un club importante e ricco di storia, che non gioca la Champions e non può puntare ad un titolo nazionale, denota grande umiltà e soprattutto una grande serietà professionale: Joe Hart ha scelto di essere un beniamino e per farlo ha messo in discussione sé stesso.
Avrebbe potuto accomodarsi comodamente sulla ricca panchina del City e restare a guardare Bravo e Caballero che si dividevano le presenze tra Premier, FA e Champions.
Poteva ma non lo ha fatto.
Hart ha fatto una scelta forse impopolare ma molto romantica che non tutti hanno compreso fino in fondo, compresi i media britannici.

«Avere un portiere come lui in rosa ha cambiato l’umore nello spogliatoio. Ci siamo sentiti come se avessimo acquistato una Rolls-Royce. E’ un grande professionista, ha iniziato a lavorare sodo fin dal primo giorno. Sembrava che fosse all’interno del nostro club già da un paio di anni. Alcuni hanno pensato che lui non fosse ben visto al Manchester City, ma in realtà ha cambiato solo perché voleva continuare a giocare a calcio con continuità».
Joel Obi, centrocampista Torino FC

Il ragazzone di Shrewsbury, città al confine con il Galles che diede i natali anche al celebre biologo e naturista britannico Charles Darwin, porta con sé un bagaglio di esperienza che, inevitabilmente, innalza il valore tecnico dell’intera squadra.
Quello che però colpisce maggiormente è il suo straordinario carisma.
Richiama un compagno distratto mentre c’è una interruzione di gioco, catechizza il giovane terzino sinistro prima del match, dispensa consigli e predica calma soprattutto quando il pallone è in suo possesso, rallenta ad arte il gioco nei momenti di difficoltà della sua squadra.

Ed ecco che, curiosamente, la maglia verde numero 21 fa capolino un po’ ovunque sugli spalti dello Stadio Grande Torino,  sulle bancarelle dei venditori tra la maglia di Belotti e quella di Ljajic, sulle spalle di qualche bambino che vuole andare controcorrente.


Un grande striscione dedicato a lui e al City campeggia in curva Maratona e i cori si sprecano all’inizio e alla fine delle partite casalinghe.
Quando entra sul campo per il rituale riscaldamento pre partita, la folla lo acclama.

Hart è talmente calato nella parte che è lui a chiamare a raccolta i suoi compagni al termine del match per guidarli nell’abbraccio collettivo sotto la curva.
Un personaggio, quello che mancava al Torino e, lasciatemelo dire, al calcio italiano: Joe è il bravo ragazzo della porta accanto, un grande professionista, esperto e navigato, che si mette al servizio della squadra.

Joe Hart è il primo portiere inglese a giocare nel Torino.
A dirla tutta, Hart è il primo portiere inglese che approda nel nostro paese.
Vista così la questione sembra ancora più strana di quanto già non lo sia dato anche che la scuola britannica lamenta interpreti di spicco mentre quella italiana è una delle più fiorenti di sempre.

Al Toro c’era bisogno di una figura affidabile dopo il dualismo Padelli-Gillet, le annate buie di mediocri mestieranti che non hanno onorato quella maglia che, da sempre, è stata simbolo di grandi personaggi e grandi interpreti del ruolo.
Sereni, Marchegiani, Martina, Terraneo, Castellini per arrivare fino a Vieri e Bacigalupo, solo per citarne alcuni di quelli rimasti nell’immaginario collettivo dei tifosi granata.
Dopo l’esordio esterno contro l’Atalanta, i pareggi a reti bianche con Empoli e Pescara, ecco le due vittorie casalinghe contro Roma e Fiorentina alle quali Hart ha contribuito con interventi sicuri e brillanti, garantendo solidità e tranquillità al reparto difensivo.

Qualche parata decisiva, un paio di incertezze, che per inciso, capitano anche ai migliori, e una crescita in termini di peso all’interno dell’ambiente e dello spogliatoio.
Straordinario nelle uscite basse, forte tra i pali, appare piuttosto bloccato nelle uscite alte e quando esce, preferisce respingere a pugni uniti; ci sa fare con i piedi e spesso e volentieri riesce a servire dei veri e propri assist ai suoi compagni…e pensare che Guardiola ha detto che gli serviva un portiere abile nel gioco con piedi.

Quello che colpisce di Joe Hart è la capacità di essersi calato nel ruolo di uomo carismatico, giocatore esperto: tutti ne apprezzano le doti, avversari compresi.
Ecco quello che serviva: un uomo in grado di dimostrare che non conta il palcoscenico, bensì il modo in cui reciti la tua parte.


Hart lo sta facendo alla grande: abbraccia un bambino al termine di Torino-Fiorentina, scatta un selfie con un raccattapalle nel dopo partita di Crotone, si registra in un video diventato virale mentre sibila il suo mantra, quel #KAMOOOONNNNN che accompagna le sue avventure social; si mette in posa con alcuni compagni per una foto ricordo che assomiglia tanto a quella di un gruppo di amici al termine di una vacanza spensierata.

Umano, simpatico, guascone.
Abbraccia gli avversari dopo una parata, va a complimentarsi con Cataldi per il suo tiro: “Ok, ci hai provato però te l’ho presa.” – e via con un sorriso mentre il giovane centrocampista laziale lo guarda basito, non si sa se per la parata o per i complimenti.

Anche le sue prestazioni con la maglia della nazionale sono state salutate con grande affetto dai tifosi granata.
Sui social ho visto più e più volte la serie di parate effettuate durante Slovenia-Inghilterra e proprio la presenza sugli spalti di alcuni tifosi granata che lo hanno sostenuto durante Inghilterra-Scozia lo ha portato a dichiarare:


“A Wembley in occasione di Inghilterra-Scozia alcuni tifosi granata si sono posizionati dietro la mia porta, è stato molto divertente. All’inizio non me ne ero accorto, poi li ho sentiti gridare. Sono stato molto colpito dal vedere persone che vanno all’estero per sostenere una nazionale che non è quella del loro Paese. Li ringrazio molto per questo sforzo.”

Fuori dagli schemi, lontano dallo stereotipo del calciatore duro, Joe Hart ha saputo risvegliare sentimenti perduti nel tempo.
Il prestito fino a giugno 2017 non lascia molte speranze ai tifosi granata.
Diciamo che saremmo onorati di vederlo ancora con la nostra maglia, magari nel difendere la nostra porta in una partita di coppa.
Diciamo che sarebbe ancora più romantico.
Diciamo che sarebbe la dimostrazione che alla fine contano anche le motivazioni e i sentimenti.
Ci siamo affezionati anche questa volta: bambini, adulti, anziani.
E anche in un calcio sempre più commerciale e arido, sapendo che i giocatori vanno e vengono, non possiamo farne a meno.
Un giorno verremo mai ricambiati?
Per il momento godiamoci Joe Hart, con la speranza di trasmettergli i nostri sentimenti.
Joe, questa è casa tua.

 

Pubblicato da Danilo Baccarani

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e l'impermeabile di Bogart, ché non si sa mai.

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