Il miracolo da 100 punti – La favola del Leicester

Ha vinto il Leicester, ha vinto Claudio Ranieri con la sua masnada di falliti, reietti, scarti e scartati da mezzo mondo del calcio.
Il campionato più ricco del mondo lo vince una squadra composta da 8 inglesi, 1 gallese, 1 danese, 1 belga, 1 giamaicano, 1 tedesco, 1 francese, 1 ghanese, 1 croato, 1 giapponese, 1 argentino, 1 algerino, 1 polacco, 1 austriaco, 1 tunisino, 1 australiano, 1 svizzero e 1 lituano.
Hanno giocato in 14-15 al massimo, forse 16 mentre tutti parlano di panchina lunga, due giocatori per ruolo e così via.
Una specie di Arca di Noè sulla quale sono saliti in silenzio, un tecnico perdente di successo e appunto una serie di giocatori dimenticati e sinceramente, all’inizio di questo viaggio, dimenticabili.

A leggere la formazione del Leicester viene da chiedersi come sia stato possibile che Schmeichel, Huth, Morgan, Drinkwater, Kanté, Mahrez, Fuchs e Vardy, siano diventati campioni d’Inghilterra.
Ranieri ha saputo creare un gruppo solido, fisicamente inossidabile e soprattutto riconoscibile in un credo tattico facile facile: difesa e contropiede a velocità stratosferica, 11 titolari fissi e carattere.
Partita dopo partita, episodio dopo episodio si intuiva che questo era proprio l’anno degli insospettabili, quelli che, all’inizio della Premier, erano quotati 5000 a 1: i bookmakers inglesi, tanto per dire, danno 3000 contro 1 la scoperta del Mostro di Loch Ness e 2000 a 1 il ritrovamento di Elvis Presley. Vivo.

Ranieri è l’eroe.
Arrivato per conquistare la salvezza, ha fatto addirittura saltare il banco, mettendo in fila Liverpool, Manchester e Londra: in un paese con la monarchia, Ranieri ha ucciso tutta la “famiglia reale” del calcio britannico.
Il sindaco di Leicester ha promesso che intitolerà una strada o una piazza al tecnico romano.
Penso che Ranieri la meriti per il solo motivo che gli onesti e quelli che ci credono fino in fondo, devono vedere riconosciuti i frutti del loro lavoro.
E poi, diciamolo, Ranieri è una brava persona, un grande professionista e merita tutto quello che si è costruito attraverso il lavoro, nel corso degli anni. E poi dopo la delusione con la nazionale greca, chi meglio di lui poteva dimostrare al mondo di saper vincere con la squadra più insospettabile della Premier?

Un lavoro che gli ha portato cocenti delusioni e che oggi gli consegna l’occasione di togliersi una valanga di sassolini dalle scarpe: non lo farà.
Non lo farà perché non è nel suo stile.
A Leicester lo adorano. Lo amano e lo ameranno per sempre.

Adesso non gli resta che fare due cose. 
Una, la prima, giocarsi la Champions dell’anno prossimo, senza nessuna pressione e senza nessuna aspettativa.
La seconda, ritirarsi a vita privata.
Fare meglio di così, penso sia difficile anche solo immaginarlo.
Migliorare l’impensabile è appunto, impensabile.


Ovviamente sul carro del vincitore sono saliti un po’ tutti.
Gli italiani, in primis che sono diventati tutti tifosi del Leicester. Ovviamente.
Ma perché poi?
Beh, in primis per la nostra capacità tutta italiana di aver vinto qualcosa anche quando non ci spetta proprio un cazzo di niente.
Poi perché molti si sono immedesimati nella favola della piccola squadra che contro pronostico vince un torneo così prestigioso.
Molti, di fatto, avrebbero pagato di tasca loro, per essere tifosi di una squadra che si gioca un titolo partendo dal quattordicesimo posto dell’anno precedente.
Perché le favole piacciono un po’ a tutti.
Piacciono ai grandi che ritrovano la speranza di credere ancora in qualcosa di incredibile. Perché questo, fuor di retorica, non è solo calcio. Non è solo sport. È speranza. È voglia di credere ancora nelle favole. È voglia di assistere ad un miracolo.
Un miracolo da 100 punti.


Si avvertiva, partita dopo partita, che Ranieri e le Foxes avrebbero vinto la Premier.
Segnali. Caso. Palloni che andavano dove dovevano andare. Giocatori che si trovavano nella posizione giusta, al momento giusto. Avversari che si danneggiavano a vicenda, inseguitori che inciampavano a ripetizione.
Segnali. Gol pazzeschi come quello di Vardy al Liverpool.
Mancava il titolare? Nessun problema, segnava il panchinaro.
Infortuni? Nessuno.
Una cosa incredibile è che il mondo ad un certo punto ha iniziato a tifare per questo buco di duecentomila anime nelle Midlands orientali.
Ai telecronisti di Sky gli si incrinava la voce quando il Leicester andava sotto mentre esultavano in maniera smodata quando Vardy e compagnia segnavano un gol.
Una magia durata trentasei partite, due prima della fine di un campionato indimenticabile e grazie ad una partita che non vedeva il Leicester in campo: il derby di Londra, Chelsea-Tottenham terminato 2-2 consegnava alle Foxes il primo titolo della loro storia. Nel 1928-29 infatti, il Leicester arrivò secondo, miglior piazzamento di sempre.
Eden Hazard, credo, meriti un riconoscimento da parte dei tifosi del Leicester per quel goal (meraviglioso) segnato quando tutto sembrava oramai deciso e quando molti si erano, a torto, dichiarati contrari ad un titolo assegnato senza che il Leicester giocasse.
Un finale thrilling risolto dal giocatore più deludente della stagione del Chelsea.
Et voilà, anche qui, il caso ci ha messo lo zampino.


Lo so già, ci faranno un film. Scriveranno una pessima sceneggiatura o prenderanno spunto da un bellissimo libro. E faranno un film pessimo e retorico.
Useranno immagini artificiose (quanto odio i film di questo genere che non usano le immagini di repertorio!) e faranno interpretare il tutto da pessimi e improbabili attori americani o da neofiti del grande schermo.
Sarebbe così bello lasciare il materiale video così come è, libero di testimoniare una delle più grandi sorprese sportive di tutti i tempi: girare un documentario sarebbe più romantico e meno commerciale.
Sorprese come l’Unione Sovietica che batte gli USA a basket alle Olimpiadi del 1972; la Danimarca e la Grecia che diventano regine d’europa nel calcio (1992, 2004), il Nottingham Forest che vince il titolo dopo la promozione dell’anno precedente e poi vince due Coppe Campioni in fila, il Verona o il Cagliari che vincono lo scudetto in Italia.
Altri tempi. Altro calcio. Altre storie.

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Chiosa
L’altro giorno parlando di Ranieri, ho ricordato un aneddoto che lo riguarda.

Ero a Mosca per la Champions e Ranieri era commentatore tecnico per la tv.
La partita era Spartak Mosca-Inter.

Lo avvicinai prima del match e chiacchierammo un po’.
Cortese, gentile e infreddolito, mi salutò anche quando ci rivedemmo in albergo ben dopo la fine del match.
Quando lo incontrai di nuovo, credo a Lisbona, si ricordò di me.
Gli chiesi un autografo per un amico tifoso del Catanzaro e quando gli dissi che la dedica era da fare ad un giallorosso doc, mi rispose: “Beh, se si ricordano di me a Catanzaro, vuol dire che qualcosa di buono devo aver fatto.”

Non oso immaginare cosa potranno fare a Leicester, sig. Ranieri, per ringraziarla.

Pubblicato da Danilo Baccarani

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e l'impermeabile di Bogart, ché non si sa mai.

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