La maglia numero 5 con lo sponsor Sweda non me la toglievo mai.
Nel torneo dell’oratorio la indossavo sotto la maglietta della mia squadra.
Avevo dieci anni e il mio calciatore preferito giocava nella mia squadra del cuore.
Il giocatore in questione si chiama Leovegildo Lins da Gama Júnior detto Júnior, da Joao Pessoa, stato del Paraiba.
In Italia Junior arrivò all’età di trent’anni, l’età giusta per sapere chi sei e cosa vuoi fare della tua vita.
Junior fu il capitano del Flamengo capace di vincere la Coppa Intercontinentale del 1981, esperto, elegante nelle movenze, intelligente con i piedi e con la testa, accettò il trasferimento in Europa al Toro di Radice solo a seguito di una semplice garanzia tecnico-tattica: giocare esclusivamente a centrocampo e non nel ruolo di terzino che aveva spesso ricoperto soprattutto in nazionale.
E così fu. A Junior, Gigi Radice consegnò la cabina di regia del Toro più bello degli anni Ottanta, il più bello dopo lo storico Scudetto del 1975/76.
Il numero cinque granata contribuì ad un secondo posto tanto bello quanto beffardo per via di qualche punto di troppo sciupato qua e là dai granata in una annata in cui l’outsider Verona si laureò campione d’Italia.
Altro calcio e altri tempi.
Junior giocava nel ruolo che in Sudamerica viene chiamato volante, il nostro centromediano metodista, il regista arretrato, l’uomo che staziona davanti alla difesa e ha il compito di far ripartire l’azione concertandola con le giuste geometrie.
La palla tra i suoi piedi era in cassaforte e la sua grande visione di gioco gli consentiva di distribuire palloni di grande qualità.
Destro naturale, Júnior amava giocare di esterno, era fenomenale sui calci piazzati in un periodo storico in cui gli specialisti si chiamavano Zico, Maradona e Platini, tanto per gradire.
Júnior diventò presto l’idolo della Maratona. Lo striscione Futebol bailado campeggiava sugli spalti del vecchio Comunale.
Il primo anno con la maglia granata lo vide protagonista di una stagione da 10elode: 32 presenze totali (26 in campionato e 6 in coppa Italia), 10 reti (7+3) e soprattutto tanti assist, compreso quello per lo stacco vincente di Serena nel derby d’andata vinto 2-1 al 90′.
Nel derby di ritorno e a Milano contro il Milan, Leo fu oggetto di insulti razzisti, cosa che non minimizzò affatto, colpendo con decisione gli autori dello striscione Junior negro bastardo che campeggiava affianco ad uno stemma fascista nella curva bianconera.
Proprio quel giorno in compagnia di mio padre, mio cugino e mio zio assistemmo alla scena dell’esposizione (e successivamente alla sua rimozione) con tanto di schiaffoni ai fenomeni che avevano avuto la “bella” pensata.
Il brasiliano si fece amare anche fuori dal campo. La sua allegria e la sua musica fecero notizia in una città molto riservata, poco abituata ai lazzi del Carnevale di Rio e mentre in giro per l’Italia si leggeva di calciatori brasiliani tristi, nostalgici e alle prese con la saudade, Leo (come venne soprannominato facilmente dai tifosi granata) viveva una seconda giovinezza.
Le cose iniziarono a cambiare dalla stagione successiva, quando qualcosa si incrinò nei rapporti tra Mister Radice e Júnior, soprattutto per alcune decisioni del mister brianzolo che iniziò a sostituirlo spesso e volentieri, anche quando, forse, non era il caso.
Nessuno nascose nulla e a distanza di anni il brasiliano non le mandò certo a dire: “Io non ho mai voluto andare via dal Toro. Sono andato via, perché l’allenatore mi ha offeso pubblicamente, con dichiarazioni alla stampa, mentre avrebbe dovuto parlarmene in privato. Non ero disposto a queste infamie. Ero un giocatore indipendente, avevo la mia libertà filosofica, intellettuale ed economica. Quando giocavo bene, lui non si complimentava mai con me, ma se una cosa andava storta era sempre colpa mia e di Dossena. Radice, ha detto alla stampa, che io avevo bisogno di un assistente sociale. Forse lui aveva bisogno di uno psichiatra! Mi è dispiaciuto moltissimo, avrei fatto volentieri altri due al Toro anziché andare a Pescara”.
Calciatore, ma prima di tutto uomo, uno che giocava innanzitutto per passione, scanzonato, libero e gioioso. Junior portò al Toro il suo carico di gioia. Torino e il Toro lo amarono e fu corrispondenza d’amorosi sensi.
Un vero esempio di professionalità legato ad una grande dote che fa sempre la differenza: l’umanità.
Amò Torino e si calò perfettamente nei panni del torinese d’adozione insieme alla sua famiglia e alla sua musica con cui amava allietare le cene sociali.
La musica, il ritmo trascinante del samba, chitarra e voce, come testimonia il pezzo Voa canarinho datato 1982, che divenne inno della nazionale brasiliana ai mondiali di Spagna e vendette 800mila copie sono la cartina tornasole della mentalità e dello stile di vita del calciatore verdeoro.
Poi venne il momento dei saluti e per gli amanti del calcio, fortunatamente Leo non se ne andò, ma rimase a tiro, in Italia nel Pescara di Galeone neo promosso in serie A.
Contribuì alla salvezza nella stagione 1987/88 ma non potè evitarla l’anno successivo e così, all’età di 34 anni maturò la decisione di tornare in Brasile, nonostante le lamentele della moglie e lo stipendio decurtato che avrebbe guadagnato in Brasile.
Tornò al Flamengo, suo amore giovanile dove chiuse una carriera fatta di tanti onori ma non tanti quanti Leo avrebbe meritato.
Con il Mengão vinse ancora una Coppa del Brasile nel 1990, un Campionato carioca nel 1991 e un Brasileirão nel 1992, ultimo trionfo della sua longeva attività agonistica. Nel 1991 fece una breve riapparizione nel Torino, disputando la vittoriosa finale della Coppa Mitropa 1991 applaudito da tutto lo stadio e portato in trionfo come un re.
Il peccato originale fu quello di non capire la grandezza di Junior soprattutto fuori dal campo.
Avrebbe potuto dare tanto al Toro, a noi tifosi e agli amanti del calcio qua in Italia.
Ancora oggi Leo è amatissimo, come dimostrano i recenti avvenimenti del maggio scorso (venne in Italia invitato dal Museo del Grande Torino su iniziativa di Domenico Beccaria) e resta sicuramente uno degli stranieri più forti mai visti in Italia e in particolar modo con la maglia del Toro.
Ma Leovegildo Lins da Gama detto Júnior è un esempio di come dovrebbero essere vissuti il calcio e, più in generale, la vita: sempre con il sorriso sulle labbra.
Scheda
Leovegildo Lins da Gama detto Júnior
Nato João Pessoa, 29 giugno 1954
Flamengo, Torino, Pescara, Flamengo
Con il Toro dal 1984-85 al 1986-87 ha totalizzato 86 presenze e 12 reti
Con la nazionale brasiliana ha disputato due mondiali ’82 e ’86
Con i verdeoro ha giocato 70 partite segnando 6 goal
Il suo account facebook Leo Júnior Maestro è visitatissimo e aggiornatissimo; i suoi post iniziano sempre con un gioioso “Galera!” (Ragazzi!), il suo sito http://maestrojunior.com.br/ è un viaggio nel passato, con tanto di negozio online e promozione del suo gruppo musicale Samba do sopa che raccoglie fondi destinati alle famiglie in difficoltà.
Leo ha anche un account instagram dove appare in scene di vita quotidiana insieme a calciatori in attività ex colleghi o colleghi della sua nuova carriera, quella televisiva, in cui è apprezzato commentatore per rete Globo.